Questa emergenza mondiale ha fatto dire: “Siamo tutti sulla stessa barca”.
Istintivamente verrebbe voglia di rispondere che non tutti stiamo affrontando la tempesta con la stessa imbarcazione. C’è chi sulle onde ci sta con uno yacht, chi su una zattera e chi nuota, cercando di restare a galla. Perché c’è chi oltre al terrore del virus ha quello di dover chiudere la serranda della bottega e non arrivare più alla fine del mese con il pane sul tavolo; con i figli da crescere e allora la DAD, i coprifuoco, la mascherina diventano davvero l’ultimo dei problemi.
Lo sappiamo bene da mesi quali sono le misure di sicurezza da mettere in pratica, per aiutarci tutti l’un l’altro; eppure sembriamo i bambini che hanno ancora difficoltà a mettersi in fila e danno la colpa al compagno davanti. Servono davvero nuovi decreti che ce lo ricordino?
Servono le polemiche di chi ironizza su chi sia autorizzato o meno a sensibilizzare sull’utilizzo di una mascherina?
È questo il momento di continuare a criticare tutto e tutti, per partito preso, o è il momento di convogliare le nostre energie per realizzare cosa è primario fare?

Siamo tutti provati emotivamente, ognuno per le sue valide ragioni.
Le forze che ci restano vanno concentrate sulla realtà che il virus quotidianamente ci sta mettendo davanti agli occhi: ad essere la stessa magari non sarà la barca, ma il mare sì.
E a riva ci dobbiamo arrivare tutti.